Joos van Cleve, L’adorazione dei Magi

Autore : Joos van der Beke, detto Joos van Cleve

Titolo dell'opera: Adorazione dei Magi tra Santo Stefano committente e Santa Maria Maddalena

Data : documentato ad Anversa dal 1511 al 1540/1541

Ubicazione: Chiesa di San Donato

Dimensioni: cm 156 x 138 (tavola centrale), cm 162 x 67 (ante laterali), cm 51x96 (cimasa centrale), cm 52x46 (cimasa sinistra), cm 54x45 (cimasa destra)

Tecnica: Olio su tavola (quercia d'Olanda)

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Descrizione dell'opera

Entrando nella Chiesa di San Donato, nella prima cappella a sinistra si osserva il Trittico dell'Adorazione dei Magi di Joos van Cleve. L'opera è un trittico a timpano con due ante laterali mobili, eseguita su legno di quercia, commissionata nel 1517 da Stefano Raggio, importante esponente della nobiltà economica genovese del periodo, per la sua cappella di famiglia, rinominata “dei tre Re”, in relazione alla tipologia del dipinto presente. La cappella dei Raggi venne presumibilmente distrutta durante le trasformazioni che subì il complesso in tempi ancora da chiarire; tale demolizione guastò la cornice, di cui Alizeri ci fornisce una chiara testimonianza, e fu rifatta in maniera grossolana ed eccessivamente massiccia nel XVIII secolo. Nell'anta sinistra si osserva Santo Stefano, in abiti papali secondo un motivo iconografico nordico, e il committente, Stefano Raggio, abbigliato secondo la tipica moda fiamminga, avvolto in una pesante pelliccia, senza il tipico cappello piatto coi bordi sollevati, il cosiddetto “berretto a taglieri”, figurazione che sarebbe stata inconciliabile con la raffigurazione nelle vesti di "donatore"; il cappello, e le sue simbologie connesse, ritorna nel Ritratto di Stefano Raggio, elemento che sottolinea la sua appartenenza cittadina alla Superba. Sullo sfondo, si coglie la lapidazione del santo. Un particolare degno di nota presso l'inginocchiatoio del Raggio è una sovradipintura posta sopra il simbolo araldico della casata, realizzata in occasione della congiura ordita da Gio. Paolo Balbi contro la Repubblica del 1648 in cui risultò implicato Stefano Raggio, omonimo dello stesso avo qui ritratto. Nel corpo centrale, sotto un edificio classicheggiante, si svolge la scena di Adorazione, tra i tre re Magi, la Madonna e il Cristo: ciò che stupisce sono l'acribia descrittiva dei re Magi, le cui vesti, in particolare quelle di Baldassarre, testimoniano una moda veneziana, descritta da Cesare Vecellio nel 1590: l'apposizione delle scritte "Jasper" e "Balteser" poste rispettivamente su un vestito nero e sulla pisside d'oro, giustificano una volontà identificativa dei re Magi ben evidente. Nell'anta di destra è rappresentata Maria Maddalena, con tanto di attributi iconografici: figurata mentre regge un unguentario, sormontata da un'aura di luce con una figurina nel centro, stagliata su vedute di Marsiglia e della Sainte Baume, luogo presso cui la santa si ritirò in vita eremitica dopo il suo arrivo in Provenza. Da segnalare il particolare della corta sopravveste, la cosiddetta giornia, su cui è raffigurato un melograno che per la cultura medievale simboleggia l'unione matrimoniale e, in senso traslato, la speranza nell'immortalità e nella resurrezione; il melograno che si staglia sul fondo rosso della veste, volutamente accentuato, suggerisce l'assenza della moglie Maddalena Giustiniani, prematuramente scomparsa. La cimasa centrale, con su raffigurato un Calvario, opera che erroneamente si credette di poter attribuire alla bottega di van Cleve, è opera dello stesso artista, in accordo con quanto afferma Gianluca Zanelli, considerazione fatta alla luce del riscontro di una continuità compositiva e artistica tra la cimasa e il resto. Le altre due cimase minori proseguono la decorazione fondale delle ante sottostanti. Sul verso del trittico, originariamente coperto da una pellicola rosso-bruna a mò di rifinitura, è stato dipinto nel XVII un'”Annunciazione”, opera di un ignoto quanto modesto pittore locale; tale opera è da considerarsi conseguente al guasto della cornice, durante lo spostamento del Trittico.

  • Considerazioni Generali

L'opera si colloca all'interno dei rapporti artistici che intercorsero tra Genova e le Fiandre, avvenuti tra XV e XVI secolo. Oltre a decorare la cappella di famiglia, il trittico doveva essere la testimonianza tangibile dell'importanza mercantile ricoperta dalla famiglia Raggio all'interno del florido commercio con le Fiandre, instaurato proprio in questo periodo. Il rapporto di committenza tra Stefano Raggio e Joos van Cleve resta da chiarire, in ragione della mancanza di fonti storiche attendibili: si suppone un soggiorno di quest'ultimo a Genova, come altri affermano, o un possibile viaggio dello stesso Stefano Raggio ad Anversa, città natale del pittore, ospite dello zio Lorenzo Raggio. Poiché gli archivi storici di Anversa non affermano con certezza un soggiorno del Raggio ad Anversa, non si può definire con certezza il rapporto di committenza tra i due; per contro, invece, non si può escludere un ben più probabile soggiorno in Liguria dell'artista, avvenuto in due tempi, tra il 1515 e il 1525, durante cui abbia potuto realizzare l'opera, in accordo a quanto afferma Giovanna Rotondi Terminiello. L'assenza nel trittico della presenza della moglie del Raggio, Maddalena Giustiniani, è sopperita dalla figurazione di Maria Maddalena; l'assenza è spiegabile in relazione alla morte prematura della sposa, commemorata nel trittico della cappella della famiglia Raggio. La convenzionale data di fattura del trittico, 1520, impedisce un contatto tra Maddalena Giustiniani e van Cleve, avvalorando l'ipotesi per cui l'artista non ebbe modo di incontrarla, forse perchè non seguì il marito in quel presunto viaggio ad Anversa. Il 1517, presunto anno dello sposalizio tra la Giustiniani e il Raggio, risulta essere un termine post-quem ai fini della datazione dell'opera. Giovanna Rotondi Terminiello ha sollevato perplessità circa la datazione ufficiale del complesso: in ragione di approfonditi studi sull'opera, a causa del restauro necessario dovuto al trafugamento del trittico avvenuto nel 1974 che ne causò l'apertura dei punti di connessione delle varie tavole, la rottura e lo smembramento della cornice, emergono dati non concordi con la datazione convenzionale; le ante laterali sembrano essere posteriori rispetto al corpo centrale e sono databili dopo la prima metà del XVI, durante il secondo soggiorno dell'artista a Genova. Il legno delle due ante laterali presenta infatti differenze strutturali rispetto al corpo centrale e si pensa a forniture di materiale avvenute in momenti successivi; stesso discorso vale per le cimase. Come le altre opere "genovesi" di van Cleve, il suddetto polittico non è firmato: la storiografia artistica genovese, su tutti Federici, Ratti, Giscardi e successivamente Alizeri,non riuscendo a risalire alla paternità dell'opera, la attribuì ad un generico "autor fiammingo" o "maestro dello stile d'oltralpe", utilizzando, quindi, formule consuete per definire artisti d'oltralpe le cui testimonianze d'attività in Italia risultavano dubbie o sconosciute; queste imprecisioni filologiche sono da addurre alla mancanza di fonti certe del periodo d'attività del maestro a Genova, testimonianze spesso vittime delle dispersioni ottocentesche legate alla soppressione di ordini monastici o allo smembramento delle collezioni private, tanto da far supporre ad un lavoro di una sua bottega sul trittico, stando a quanto afferma John Hand, ipotesi ora screditata. Caduto nel dimenticatoio nonostante il grande successo che ebbe presso i contemporanei del Raggio, confuso con Quentin Massys e Luca di Leyda, la memoria storica del trittico venne ripresa nell'XIX secolo da Alizeri che, nonostante le accanite ricerche compiute nel campo, non riuscì con certezza ad attribuire l'opera ad un autore specifico. Il trittico stupisce, in accordo con quanto afferma Alizeri, per vivacità di colori, attenzione e precisione descrittiva, tali da distogliere l'attenzione dalle altre opere presenti nella chiesa per focalizzare l'attenzione sul trittico. L'accentuato descrittivismo contraddistingue l'opera per vivacità di particolari e precisione figurativa; l' attenzione ritrattistica dimostrata nell'abbigliamento indossato dai personaggi ne fa non solo un efficace mezzo descrittivo, ma descrive anche gusti della moda del vestire della prima metà del XVI secolo. Nel complesso, il trittico non crea problemi iconografici; sulla mandorla di luce sita nell'anta destra c'è stato un dibattito circa l'identificazione della figura rappresentata al suo interno: Gianluca Zanelli, discordando dall'ipotesi secondo cui sarebbe figurata la defunta Maddalena Giustiniani, afferma che è stata rappresentata la stessa Maria Maddalena, rappresentata durante la sua apoteosi dopo la morte, in accordo coi testi agiografici, in particolare, con la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. Sullo sfondo del trittico appaiono figurazioni di vita quotidiana: soldati che bevono presso una locanda, persone che sellano un cavallo, donne che chiacchierano dalle finestre, pastori, un mulino, strade tortuose che portano verso un colle, ponti, ambienti rurali. Si focalizza l'attenzione sul fatto che il "mostrarsi divino" avvenga in ambiente completamente rurale, durante tipiche scene di lavoro, in cui un'umanità brulicante fa da padrona dello sfondo. In questo senso, Stefano Raggio è da intendersi anzitutto come un commerciante, non solo come esponente della nobiltà genovese, idealmente vicino alle rappresentazioni di attività lavorative presenti sullo sfondo. Il trittico, nel suo complesso, si rifa alla generale tradizione fiamminga, a partire dall'utilizzo di legno di quercia come supporto, alla raffigurazione di grandi scene narrative corali e dovizia di particolari; nonostante abbia avuto grande successo a Genova, non sembra essere stato influenzato dalla maniera italiana di dipingere, a differenza delle altre sue successive opere genovesi. Nel XVI secolo, si riscontra una grande fortuna dalle opere fiamminghe in Italia, da ascrivere alla preziosità e dovizia di particolari rappresentati, all'imponenza scenografica-visiva dei fondali dipinti, alla valenza mistica di una tradizione artistica fedele ai valori religiosi più tradizionali: quest'ultima considerazione, stando a quanto afferma Germano Mulazzani, potrebbe essere un ideale rivestito dallo stesso van Cleve, portatore di concetti artistici estranei al Rinascimento. In questo senso si può leggere l'evoluzione delle opere dell'artista, in un primo momento espressione della più fervida tradizione fiamminga, in seguito, testimone dell'avvenuta compenetrazione e collazione artistica di elementi italiani nelle sue opere.

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Fonti

  • Jacopo da Varagine, Leggenda Aurea, Traduzione italiana di Cecilia Lisi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1990, pp. 394-404 "[...] Ma per volere divino giunsero a Marsiglia. [...] Frattanto la beata Maddalena, desiderosa di dedicarsi alla contemplazione delle cose celesti, si recò nel deserto e vi rimase per trent'anni lontana dal consorzio umano dimorando in un luogo impervio e selvaggio che le mani stesse degli angeli le avevano preparato. In questo luogo non scorreva acqua sorgiva nè cresceva l'erba [...]".

 

  • Carlo Giuseppe Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in Pittura, Scultura, ed Architettura , Genova, II ed. 1780, pg. 94 "Chiesa di San Donato, fabbricata prima del 1109. L'unica tavola ragguardevole, che in essa conservisi, è quella dell'Adorazione de'Magi d'Autor Fiammingo [...]".

 

  • Anonimo, Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818 , a cura di E., F. Poleggi, Genova, SAGEP Editori, 1969, pg. 240 [...] sull'altare de' Raggi, cioè sul primo a sinistra [...] su di un altarino è una bella pittura antica in tre riparti. In quello di mezzo è l'Adorazione de' Magi in piccole figure, a sinistra Santa Maria Maddalena e a destra altri Santi. [...] intorno un severo ornamento di pietra nera di Promontorio

 

  • Federico Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, Genova, 1846, pg. 303-304 "Di gran nota è una tavola sull'altare de Raggi, cioè sul primo a sinistra, dipinta da un fiammingo con sì rara diligenza e con tanta amenità di colori, da svogliare l'intelligente di veder altro in questa chiesa. [...] Ma i dotti delle pittoriche scuole san bene con qual occhio si debbano mirare questi pittori, che se pur son i meno filosofi, non han chi li superi in verità e precisione; ammirano l'estrema finezza di ogni parte, fin de' capegli, delle barbe, de' ricami. [...] Mi è ignoto il nome dell'autore, né forse altri il saprà mai, quando perfino alla discendenza de' Marchesi che lo commisero falliscono i mezzi per iscoprirlo. Se ne chiedi a certi saputelli, usi a sentenziare alla cieca d'ogni pittura, ti diranno un bel Luca d'Olanda, nome che sogliono dare a tutto ciò che sappia d'olandese [...].

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Bibliografia

  • Rotondi Terminiello Giovanna, Joos van Cleve. L'Adorazione dei Magi, in: Restauri in Liguria, Bertolini Campetti L. (a cura di), SAGEP, Genova, 1978, pg. 251-257
  • Cavelli Traverso Carla, Tavole primitive fiamminghe in Liguria in: Atti del Congresso Internazionale di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, 23-24-25-26 Maggio 1989, Genova, 1989, pg. 113-123
  • Parma Elena, Rapporti artistici tra Genova e le Fiandre nella prima metà del Cinquecento,in: Fiamminghi a Roma 1508-1608, supplemento al fasc. n. 100, Roma, 1997, pg. 41-44
  • Scailliérez Cecile, Joos van Cleve e Genova in: Paolo Boccardo, Clario Di Fabio (a cura di) Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV e XVII, Genova, 1997, pp. 110-125, 126-149
  • Zanelli Gianluca, Pittura fiamminga a Genova all'inizio del XVI secolo: il "caso Joos van Cleve, in: Simonetti F., Zanelli G. (a cura di) Joos van Cleve e Genova. Intorno al ritratto di Stefano Raggio,Maschietto Editore, Genova, 2003, pp. 19-41, 106-109
  • Scailliérez Cecile, Joos van Cleve e Genova in: Paolo Boccardo, Clario Di Fabio (a cura di) Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV e XVII, Genova, 1997, pp. 110-125, 126-149
  • Mulazzani Germano, Il posto di Joos van Cleve, il posto dei suoi committenti in: Simonetti F., Zanelli G. (a cura di) Joos van Cleve e Genova. Intorno al ritratto di Stefano Raggio, Maschietto Editore, Genova, 2003, pg. 88-89
  • Cataldi Gallo Marzia, Il costume di Stefano Raggio nel trittico di San Donato in: Farida Simonetti F., Zanelli G.(a cura di) Joos van Cleve e Genova. Intorno al ritratto di Stefano Raggio, Maschietto Editore, Genova, 2003, pg. 93-96
  • Cavelli Traverso Carla, Adorazione dei Magi con santo Stefano e Maria Maddalena, in: Cavelli Traverso C. (a cura di) Primitivi fiamminghi in Liguria, Le Mani, Genova, 2003 pg. 57-63

 

 

Immagini

Immagine:Trittico _van_Cleve.jpg

  • Trittico dell'Adorazione dei Magi
Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022